La sentenza a Sezioni Unite 28972/2020 interviene sulla questione dell’uso esclusivo, a favore del proprietario di una unità immobiliare, di parti comuni condominiali.
Il caso riguardava una porzione di area comune attribuita in “ uso esclusivo” al proprietario di una unità.
Il principio di diritto espresso dalla Suprema Corte è che non può esistere un “diritto reale di uso esclusivo di parti comuni”, perché ciò contrasta con il numero chiuso dei diritti reali.
Il che, in realtà, non sembra una novità di rilievo.
Credo che ben pochi ritenessero possibile l’esistenza di un “ diritto reale di uso esclusivo su parti comuni”.
Al di là delle definizioni, la questione vera riguarda la sorte dei diritti di uso esclusivo già esistenti, o che si intende far sorgere con una futura contrattazione.
Nelle considerazioni iniziali, la sentenza appare poco favorevole: si afferma che l’uso esclusivo svuoterebbe la facoltà degli altri comproprietari di godere della cosa comune; e che l’uso esclusivo non è riconducibile nemmeno alla servitù.
Poi però fa salve delle situazioni, e concede delle aperture tali, da ritenere pressoché tutto ammissibile.
Procediamo con ordine.
Innanzi tutto la Suprema Corte ammette la legittimità dell’uso esclusivo inteso come uso turnario o frazionato.
È il caso classico dei 10 appartamenti ad ognuno dei quali compete in uso esclusivo uno dei 10 posti auto ricavati sullo scoperto comune: qui, secondo la Corte, la parità sarebbe salvaguardata mediante un congegno di reciprocità.
Ma sembra si possa andare oltre.
Infatti la sentenza prosegue affermando che l’art 1102 cc, per cui ciascun partecipante alla comunione può servirsi della cosa comune purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri di farne uso,
non pone una norma inderogabile… e che i limiti possono essere resi più severi dal regolamento condominiale… purché non ci sia un divieto generalizzato di uso delle parti comuni.
Secondo la sentenza, non è nemmeno escluso che vi sia un uso più intenso delle parti comuni da parte di un condomino rispetto agli altri.
Quindi anche l’assoluta reciprocità non sembra requisito indispensabile per poter affermare la legittimità di un uso frazionato o turnario, che potrebbe, pattiziamente ed in particolare a seguito di regolamentazione condominiale, anche favorire uno o più condomini rispetto ad altri nell’uso di una cosa comune.
Ma si va ancora oltre. La pronuncia, dopo aver escluso l’esistenza di un diritto reale di uso esclusivo, per il caso in questione, cioè un’area condominiale attribuita, appunto, in uso esclusivo, si interroga circa la natura, e la sorte , di questo “ uso esclusivo” .
E giunge alla conclusione che bisognerà valutare, caso per caso, interpretando la volontà delle parti:
– se questo “ uso esclusivo” non sia in realtà un diritto di proprietà, mascherato in quanto all’epoca non si voleva, per mille ragioni, procedere al frazionamento dell’area ed alla vendita della stessa in proprietà. In questo caso l’uso esclusivo va “ riqualificato” come “proprietà esclusiva”, nel senso che le porzioni definite come in “uso esclusivo”, magari nel regolamento condominiale, erano in realtà da definirsi come pertinenze, e quindi trasferite in proprietà, assieme alla cosa principale, nei vari diversi successivi trasferimenti ( così Cassazione 20712/2017)
– Potrebbe essere qualificato come un diritto reale d’uso ex art 1021 cc
– Ed infine …potrebbe essere considerato un diritto di uso esclusivo e perpetuo ( tra le parti) di natura non reale, ma obbligatoria, creato pattiziamente, e quindi valido tra le parti, non erga omnes.
Ma allora se questi “diritti di uso esclusivo”, anche relativi ad aree condominiali, anche se non frazionati e turnari…
sono stati accettati da tutti, magari perché contenuti nel regolamento di condominio, che all’atto di compravendita l’acquirente ha dichiarato di conoscere ed accettare, o perché proprio inseriti nell’atto di compravendita, in cui si menzionano i diritti di uso esclusivo spettanti ad alcuni condomini…
allora questi diritti di uso esclusivo sulle parti comuni possono considerarsi legittimi, e perpetui tra le parti, perché fondati su base contrattuale.
Sembra quindi che la Suprema Corte, in concreto, abbia inteso salvare gli usi esclusivi esistenti e creati dalla prassi negoziale, finendo per riaffermare la loro sostanziale legittimità.