Nei post precedenti abbiamo affrontato la questione del sismabonus, con la possibilità di ottenere uno sconto in fattura fino a 96.000,00 euro sul prezzo pagato. Alcuni si chiedono se possa rappresentare un buon investimento, nel caso in cui si decida di rivendere l’abitazione entro 5 anni dall’acquisto. Sappiamo, infatti, che trascorsi 5 anni dall’acquisto non si paga alcuna imposta sulla plusvalenza in caso di rivendita. Quindi se compro a 100e rivendo a 150, trascorsi 5 anni dall’acquisto non pago alcuna imposta.
Diverso invece è il caso della rivendita infraquinquennale: in tal caso, sui 50 di plusvalenza si pagano le imposte. Ma se un fabbricato viene comprato con lo sconto in fattura di 96.000,00 euro, questo “sconto” viene computato ai fini della plusvalenza o no?Di un argomento attinente si è occupata la risposta ad interpello 204 del 2021, relativa al trattamento fiscale delle plusvalenze per gli immobili sui quali siano stati realizzati dei lavori con “ superbonus” e sconto in fattura. In tal caso, secondo l’Agenzia delle Entrate, le spese oggetto di “superbonus” vanno considerate come costi, anche se vi è stato lo “sconto in fattura”. Come si arriva a questo risultato?
L’AE richiama in primo luogo Il comma 1 dell’articolo 68 del TUIR , il quale statuisce che le plusvalenze sono costituite «dalla differenza tra i corrispettivi percepiti nel periodo di imposta e il prezzo di acquisto o il costo di costruzione del bene ceduto, aumentato di ogni altro costo inerente al bene ”In ordine alle modalità di calcolo della plusvalenza ex articolo 68 citato, l’Agenzia delle Entrate fa riferimento alla Corte di Cassazione.
Essa, richiamando precedenti pronunce, ha affermato, con la sentenza n. 16538 del 22 giugno 2018: “premesso che il prezzo di acquisto od il costo di costruzione deve essere incrementato dei soli costi inerenti al bene, (…) sono a tal fine rilevanti le spese incrementative. Per spese incrementative, in giurisprudenza, s’intendono “quelle spese che determinano un aumento della consistenza economica del bene o che incidono sul suo valore, nel momento in cui si verifica il presupposto impositivo”. Non possono, quindi, essere incluse tra le spese incrementative quelle che non apportano maggior consistenza o maggior valore all’immobile, perché attengono solo alla manutenzione e/o alla buona gestione del bene”.
Sulla base di tale principio, la Corte di Cassazione conclude affermando che “sono costi inerenti al bene, in quanto tali deducibili ai fini della determinazione della plusvalenza tassabile, solo quelli che attengono al costo di acquisto (spese notarili, di mediazione, imposte di registro, ipotecarie e catastali, cioè i costi inerenti al prezzo di acquisto (…) o che si risolvono in aumento di valore del bene, perdurante al momento in cui si verifica il presupposto impositivo (ad esempio, le spese sostenute per liberare l’immobile da oneri, servitù ed altri vincoli, oppure le spese che abbiano determinato un aumento della consistenza economica del bene).”Pertanto, l’Agenzia delle Entrate ha ritenuto che le spese per gli interventi finalizzati alla riduzione del rischio sismico e di efficientamento energetico rientrino tra le spese “ incrementative” così come definite dalla Cassazione, e quindi possono essere considerate, ai fini del calcolo della plusvalenza della cessione infraquinquennale dell’immobile, ai sensi del citato articolo 68 del TUIR, tra i costi inerenti all’immobile. Secondo l’AE “Risulta irrilevante, ai predetti fini, la circostanza che le spese in questione diano diritto al Superbonus di cui al citato articolo 119 del decreto Rilancio, in presenza dei requisiti richiesti dalla normativa appena richiamata. Risulta, altresì, irrilevante, ai medesimi fini che per le predette spese l’Istante eserciti l’opzione, ai sensi del citato articolo 121 del medesimo decreto Rilancio, per il cd. sconto in fattura, trattandosi di una modalità alternativa alla fruizione diretta della detrazione.
D’altra parte, una diversa interpretazione, determinerebbe de facto una tassazione del beneficio derivante dalla fruizione della detrazione fiscale – ancorché fruito sotto forma di sconto in fattura – mediante la tassazione di una maggiore plusvalenza ex articolo 68, comma 1, del TUIR.
”Infine, la risposta a interpello ricorda che in ogni caso, qualora si originasse comunque una plusvalenza, sarebbe possibile optare per un’imposta sostitutiva dell’imposta sul reddito, pari al 26 per cento ai sensi dell’articolo 1, comma 496, della legge n. 266 del 2005 (legge finanziaria 2006).È da ritenersi che questo ragionamento -relativo alla impossibilità di tassare un beneficio derivante dalla fruizione di uno sconto fiscale – possa applicarsi anche nel caso di acquisto con lo sconto in fattura. Quindi, se acquisto un immobile del prezzo di euro 200.000,00, ma applico lo sconto in fattura di 96.000,00, è vero che l’esborso in denaro è di 104.000,00, ma è vero anche che il prezzo resta 200.000,00, ed è stato pagato in parte ( per euro 96.000,00) con la cessione del credito di imposta, la quale ha originato lo sconto in fattura. Quindi, se entro 5 anni rivenderò la stessa casa per euro 200.000,00, seguendo il ragionamento dell’Agenzia delle Entrate espresso nella menzionata risposta a quesito, non vi sarà tecnicamente alcuna plusvalenza, quindi non ci saranno imposte da pagare.